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Philips 637A Superinduttanza

Ovvero: Storia di un "caso disperato"

(di Leonardo Mureddu)

Fosse stato qualunque altro relitto, forse non lo avrei nemmeno preso in considerazione. Ma si trattava di uno degli ultimi modelli del famoso "superinduttanza" Philips, erede del "formaggino" e del "coda di Pavone". Si presentava piuttosto malconcio, con il mobile in completo disfacimento, il telaio arrugginito, ammuffito e rosicchiato dai topi... le foto di questa pagina possono forse dare un'idea. Fortunatamente l'altoparlante era miracolosamente salvo, e anche qualche valvola si dimostrò ancora efficiente. Dal punto di vista estetico, la scala parlante era ancora leggibile e la cornicetta in bakelite risultava perfettamente integra. Così è andata, che mi sono fatto convincere a recuperare il pezzo.

Una volta separato lo chassis dal mobile, quest'ultimo si è presentato ancora più malandato di come appariva ad una prima occhiata: la stessa struttura era compromessa e l'impiallacciatura andava via a pezzi non essendo più tenuta dalla colla. Invece la parte elettrica non mostrò niente di più di ciò che prometteva: tutti in condensatori in perdita, due valvole rotte (sul cappuccio) e una interrotta, qualche filo mangiato ma tutto sommato, in complesso, niente di irrimediabile. Ho fatto come sempre, ossia ho rimesso in funzione l'apparecchio prima di toccare il mobile. Lo schema è quello classico della superinduttanza: circuito ad amplificazione diretta con triplo circuito accordato e correzione automatica di guadagno in funzione della frequenza, mediante un potenziometro da 680 Ohm collegato meccanicamente al comando della sintonia. Questo potenziometro controlla la tensione di griglia-schermo delle due valvole amplificatrici a RF (AF2). Queste sono seguite dalla rivelatrice AB1. La parte in bassa frequenza è basata su un pentodo preamplificatore E446 seguito da un pentodo finale E463. La rettificazione è affidata al bidiodo 506 a riscaldamento diretto. Questo circuito per alcuni anni riuscì a tener testa alle supereterodina, offrendo ottime caratteristiche di selettività e di musicalità, che effettivamente lo rendevano decisamente superiore agli apparecchi dell'epoca. Di contro, la complicazione circuitale e la quantità di schermature necessarie per evitare inneschi lo rendevano piuttosto pesante e costoso, oltre che difficile da riparare. Per inciso, una descrizione dettagliata di questo ricevitore con qualche foto si trova anche sul n.51 di "Antique Radio Magazine". Una volta rimesso in funzione, ho potuto assaporare le famose qualità, ricevendo senza interferenze parecchie stazioni in onde medie e qualcuna anche in onde lunghe, con un'ottima separazione e buona qualità audio.

Infine ho posto mano al mobile. Una vera sfida! Il problema principale è stato quello di rimetterlo in forma, rincollando insieme i vari strati di legno che si erano sfaldati. Prima di ciò, ho recuperato tutti i frammenti di impiallacciatura del frontale, in modo da poterli rimettere a posto in un secondo tempo. Il fianco sinistro, completamente deformato, è stato rimesso in forma usando una sagoma di riscontro, colla vinilica e tanti morsetti per assicurare una buona presa. Per evitare che le sagome usate per pressare si incollassero al mobile ho interposto un foglio di "carta da forno". Una volta ridata forma e consistenza alla struttura, ho eliminato ciò che restava dell'impiallacciatura delle pareti laterali, ho levigato bene il tutto e ho incollato dei fogli nuovo di impiallacciatura di noce chiaro, scelta in modo che somigliasse alla vecchia quanto a venature e disposizione. Infine i ritocchi sul fronte, la lucidatura generale con la gommalacca a tampone, la riparazione delle manopole sbocconcellate, la sostituzione della tela con una simile... Insomma tante ore di lavoro. Giudicate voi se ne è valsa la pena!

(L'apparecchio di queste foto appartiene al sig. Marras di Sassari)

Per maggiori informazioni, scrivi a Leonardo

 

 

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